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Membru din: Vin Ian 18, 2008 11:25 am Mesaje: 8177
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micky_creanga scrie: Tu le-ai vazut? si inca cum, episod cu episod imi place "strategia non-strategiei" (fain episodul acela), mai am un pic si ma declar fan deplin lol imi plac, langa fiecare gormit e o scheda cu informatii, cat e de puternic, de ce si fiecarui gormit i se atribuie un numar, astfel amandoi incep sa fie interesati care e mai mare, mic in numere Citat: desi daca dam accidental peste ele la tv eu zic ca sunt "cu violente"
azi le-am citit niste basme cu dragoni, si era una japoneza cand un dragon tare simpatic ce se atasase de un calugar buddhist se sacrifca de dragul calugarului pe care imparatul l-a amenintat cu moartea daca nu-l determina pe dragon sa deschida Portile Cerului ca sa vina ploaia si sa salveze poporul de la seceta.
pe bune ca am plans la urma, era faina
Felix m-a prins in brate cu drag
Alba ca zapada moare inecandu-se cu mar, Scufita Rosie moare si ea, Pollicino taie capetele la toti copiii tantei aleia (aici recunosc ca mi se facuse rau de la stomac)
ideea e ca de violenze is pline povestile, ba mai mult, viata e pline de violente si copiii au nevoie sa-si ucida simbolic agresorii (care sunt si parintii), ca sa se salveze si ca sa-i salveze
asa..., lui Felix uneori i se acreste de sora-sa si-mi cere explicit sa o trimit de unde am adus-o si noh, ii spun ca amu n-are ce face, tre' sa o suporte, nu sa o iubeasca, dar sa o suporte
si faptul ca o ucide cand se joaca de-a cowboii e ok, dupa o trateaza medic fiind
despre comercializare, au comercializat multe
winx nu-mi plac, recunosc, dar poate nu am avut sansa sa le cunosc mai bine (is cumva niste dom'soare ultrasupermoderne?)
hai sa-ti las ceva fantastic sa citesti, link direct nu pot ca a disparut de pe net textul
Che cosa sappiamo di preciso sugli effetti che il gioco con le armi ha sui bambini? Queste sono le opinioni più diffuse: - "Il giocattolo è pericoloso, induce all'aggressione"; - "Da la possibilità di sfogare l'aggressività"; - "Sopravvalutiamo il significato del giocattolo, che non ha alcun effetto particolare, ma costituisce solo una fase transitoria". In genere propendiamo per interpretazioni che corrispondano il più possibile alla nostra personale esperienza. O forse abbiamo gia dei pregiudizi e interpretiamo le nostre esperienze a partire da questi? Se un bambino è spesso aggressivo e poi gioca anche con le pistole, per alcuni si tratta già di un diretto rapporto causa-effetto.
Chi ha più bambini e vede come si rapportano diversamente al giocattolo, è certo che vi siano cause diversificate. Ă incredibilmente difficile fare delle affermazioni sull'effetto che determinati fattori hanno sul comportamento umano o predire il comportamento. In particolare, studiosi americani di scienze sociali hanno condotto a partire dagli anni `40 una marea di esperimenti sugli effetti del giocattolo, con un grosso svantaggio: partono quasi sempre da "situazioni di laboratorio", cioè i bambini e gli adulti non vengono osservati nel loro ambiente naturale (all'asilo, a casa, a scuola, per strada). Ancora, gli psicologi hanno confrontato il comportamento ludico di due gruppi di bambini: un gruppo ha ricevuto giocattoli aggressivi come carri armati, soldatini, cow-boys e pirati; l'altro, giocattoli cosiddetti neutri come i trenini e il circo. In un lungo arco di tempo hanno potuto osservare che i bambini con i giocattoli aggressivi avevano elaborato storie e giochi di ruolo aggressivi, e che più spesso si arrivava anche a comportamenti aggressivi nei confronti dei compagni di gioco. Questo risultato è per alcuni versi scontato: è ovvio che personaggi e oggetti determinano un comportamento ad essi conforme nel gioco. I bambini conoscono già, attraverso la televisione, la pubblicità, l'ambito di utilizzo delle armi - caccia, scene di battaglia, minacce, gestualità e mimica aggressive - e sono in grado di imitare queste cose con precisione sbalorditiva: essi imparano presto ad imitare comportamenti violenti. D'altra parte la ricerca di laboratorio solleva molte domande. Perché con lo stesso giocattolo le bambine giocano in maniera diversa dai bambini? Ecco cosa accade: il giocattolo costituisce una "provocazione", che va vista, peró, nel contesto delle altre esperienze del bambino nel corso della giornata. Ma perché da un mucchio di giocattoli alcuni bambini scelgono la pistola e altri scelgono il trenino? E così via. Gli psicologi hanno osservato che il giocattolo aggressivo provoca un comportamento analogo, anche se provocare non vuol dire causare. I cosiddetti behavioristi verificano il comportamento umano e animale sulla base di esperimenti di stimolazione. Non vengono fatte affermazioni o supposizioni in merito al mondo interiore del bambino, ai suoi pensieri, ai suoi sentimenti, né stabilite relazioni con precedenti esperienze personali, come liti in famiglia o trasmissioni televisive. Esperimenti di questo tipo rafforzano la tesi che nella maggior parte dei bambini i giocattoli militari determinino modalità guerresche di gioco. La domanda sul perché accada questo viene in tal modo messa fra parentesi e non sono state osservate dai ricercatori trasformazioni del comportamento a medio o a lungo termine. Sul fronte della domanda "I giocattoli di guerra rendono aggressivi?" non si è, dunque, guadagnato molto terreno. Per i genitori è inquietante il pensiero che, nel rapporto con i bambini, il loro atteggiamento nei confronti della violenza possa a lungo andare mutare. Ă possibile, dunque, abituarsi alla violenza? Penso di sì: da un lato non percepiamo più l'invasione di immagini violente da parte dei giornali, della televisione, della radio, dei manifesti e altro, stacchiamo la spina, riduciamo la pluralità di impressioni ottiche e acustiche; dall'altro divengono necessari stimoli sempre più forti, per suscitare in noi tensione e agitazione. La violenza diventa normale. Molto spesso si sente anche dire: "Ma lasciate che i bambini si sfoghino" con armi, soldatini e giochi d'azione. In socio-psicologia questo processo è detto "catarsi", ossia tempesta liberatoria. I sostenitori della teoria della catarsi partono dal presupposto che in ciascuno ci sia un deposito di energia aggressiva che di tanto in tanto dev'essere svuotato, e i giocattoli possono essere uno strumento per questo. Conseguenze e ripercussioni non potevano peró essere verificate. Certo, tutti a volte perdono le staffe, e collera e ira si scaricano. La provocazione puó nascere da qualsiasi cosa; né adulti né bambini hanno bisogno per questo di particolari oggetti. Non conosco nessun adulto che abbia osservato come i bambini, avendo giocato all'attacco o alle guerre stellari, poi non abbiano più litigato per ore, così come è altrettanto possibile affermare che dopo i bambini si girano per il verso sbagliato e diventano intrattabili. In realtà puó seguire tanto la pace quanto la guerra.
Se non si impara da piccoli...?
Durante una riunione dei genitori sull'opportunità di mettere armi giocattolo in mano ai bambini, un padre racconta: "Mia moglie e io siamo molto indecisi se impedire a nostro figlio di tre anni di giocare con le pistole. Io stesso sono pacifista e obiettore di coscienza, e per me è sempre stato chiaro che desideravo trasmettere questi atteggiamenti anche ai miei figli. Per questo a mio figlio grande, che oggi ha quattordici anni, abbiamo sin dall'inizio proibito le armi spiegandogli che esse uccidono le persone in terribili guerre. Egli ha compreso anche il nostro impegno per la pace, avevamo la sensazione che avesse fatto sue le nostre idee. Adesso sperimentiamo qualcosa di terribile: da un po' di tempo nostro figlio è divenuto collezionista di armi, la sua stanza sembra un arsenale, alle pareti sono appesi modellini e manifesti delle forze armate. Non si puó più toccare questo argomento con lui. Io mi sento assolutamente impotente, perché questo è in qualche modo anche un attacco alla mia persona. Siamo del tutto disorientati per quanto riguarda il comportamento da assumere nei confronti del piccolo. Abbiamo fatto qualcosa di sbagliato con il grande? Io vedo come il piccolo sia coinvolto da questa passione, perché ammira molto suo fratello". Trovai coraggioso il contributo di questo papà.
Ă difficile mettere in discussione il proprio comportamento davanti ad un intero gruppo. L'esperienza presentata ha aiutato gli altri genitori a percepire meglio i propri desideri e i propri sentimenti. Per noi la risoluzione non-violenta dei conflitti è uno dei valori più importanti e la maggior parte dei genitori vorrebbe comunicare questo atteggiamento ai propri figli sin da piccoli. Ci chiediamo in continuazione perché determinate idee non "entrino" nei bambini, incontrino resistenza, o vengano semplicemente ignorate. Ogni comunicazione umana ha un aspetto contenutistico (la cosa di cui si parla) e uno relazionale (quali sono i miei sentimenti nei tuoi confronti in questo momento, cos'altro ti voglio comunicare attraverso i gesti, la mimica, il tono della voce). "Finitela di fare baccano! Con questa roba si sono già ammazzati milioni di uomini!" dice il papà. Il figlio sente: papà diventa cattivo quando ho la pistola, forse non mi vuole più bene se la porto con me. Sono forse anche io uno di quegli uomini cattivi che vogliono la guerra, se gioco con la pistola? Ho paura quando papà dice così. Il bambino piccolo non afferra che cosa possa significare la guerra, ma è toccato dal tono della voce con cui il padre ne parla. Il bambino sente che sarebbe bene non opporsi al padre, gli adulti sono più forti. Nella pubertà i ragazzi cercano lo scontro con i genitori, si sottraggono al legame emotivo e cercano nuovi ruoli adulti con cui identificarsi. Le armi rendono forti, indipendenti e liberi. Molti film e giornali che i giovani leggono esaltano le armi e una virilità aggressiva. I giovani vedono i genitori con più realismo, criticano il loro stile di vita e le contraddizioni fra parole e fatti. Gianni "si arma" per lo scontro con il padre: accetterà la sua dichiarazione di guerra? Per il padre il comportamento di Gianni è una provocazione. Ă disorientato. Prova anche lui sentimenti non pacifici come la collera, la rabbia, l'ira per il comportamento di suo figlio? Atteggiamenti e comportamenti si forgiano soprattutto nei primi anni di vita. Questo vale anche per l'atteggiamento nei confronti della violenza?
Ho trovato interessanti delle inchieste sulla vita familiare di obiettori di coscienza e di uomini che si erano arruolati volontariamente, ad esempio nella guerra del Vietnam. Entrambi i gruppi hanno descritto le loro famiglie in dettagliate interviste. Gli obiettori hanno descritto le relazioni familiari come calde e affettuose: padre e madre avevano gli stessi diritti, di rado i figli venivano puniti corporalmente, lode, ascolto reciproco e discussione erano la regola, la diversità di opinioni era accettata. Completamente diverso per i volontari: essi hanno descritto un'atmosfera familiare piuttosto fredda, poco accogliente, aggressiva. I gesti di tenerezza fra coniugi e fra genitori e figli erano rari ed erano visti dagli uomini piuttosto come una debolezza, la struttura familiare era gerarchica, uno dei genitori, in genere il padre, dominava e i figli ubbidivano. Punizioni corporali, minacce, rimproveri erano in primo piano nell'educazione, i genitori trasmettevano valori come l'ordine, la pulizia, l'obbedienza. L'inchiesta giunse alla conclusione che l'atmosfera familiare abbia un'influenza decisiva per quel che riguarda il rifiuto oppure l'appoggio alla violenza. A risultati analoghi portó uno studio comparativo fra obiettori di coscienza e ufficiali nella Repubblica Federale Tedesca. Le conclusioni di questa inchiesta potrebbero sembrare esagerate. In effetti conosco uomini provenienti da famiglie estremamente autoritarie che sono cresciuti completamente diversi dai loro padri.
Le mie convinzioni personali e i miei valori si differenziano molto da quelli dei miei genitori e sono in parte opposti. L'inchiesta citata non intende provare che famiglia d'origine ed educazione sono un destino. Ogni uomo puó pensare, sentire e agire in maniera autonoma. In famiglia hanno origine anche delle debolezze che lo sviluppo successivo in una direzione puó ridurre e in un'altra direzione puó aggravare. L'azione violenta è sempre il tentativo di essere superiore, e puó nascere anche dalla paura di essere sottomessi. Spesso la violenza è, in ultima analisi, una compensazione di precedenti ferite. I genitori sono in grado di ferire i loro figli in maniera profonda. Prima si diceva "infrangere la volontà". "Io voglio" è la prima espressione della coscienza di sé del bambino e viene infranta dalla paura delle punizioni, dal momento che il bambino si sottomette ubbidiente all'autorità dei genitori. Quando diventa adulto è molto probabile che la ruota giri al contrario. "Chi ha sempre dovuto obbedire vorrà un giorno anche comandare" dice lo studioso dell'aggressività Friedrich Hacker. Alcuni bambini diventati adulti ubbidiscono per tutta la vita: "Che cosa dirà la gente?" e "Non si puó fare niente" sono le loro convinzioni di fondo. La paura di non essere allineati, di urtare, di essere rifiutati, li abita in profondità. La forza dell'io e la libertà interiore nascono dal sentire di essere amati senza condizioni. Che cosa diranno gli altri? Per i bambini gli altri sono nell'immediato i genitori, i fratelli e le sorelle, la maestra, gli amici. I bambini cercano l'accordo con i genitori, e questo li rende facilmente influenzabili. Ă molto più difficile comunicare: "Devi decidere tu stesso" piuttosto che decidere al posto del bambino. Torniamo ancora una volta ai timori del papà all'inizio del capitolo. Io non sono dell'opinione che il miglioramento dei comportamenti sociali si compia prevalentemente per mezzo dell'educazione. La vita con i bambini ha la sua qualità sempre soltanto nel presente, nell'attuale scambio di gioia, di ansia, di rabbia. Ció che verrà dopo potranno deciderlo solo i bambini, quando saranno grandi. Essi realizzeranno allora non i nostri sogni, ma i propri, se avremo lasciato loro spazio per averne. Il mio personale atteggiamento nei confronti della guerra, dei militari, delle armi è stato forgiato dallo scontro con il nazionalsocialismo e dalla seconda guerra mondiale perduta dalla Germania. Mi indignava, da giovane, il silenzio, la repressione, il minimizzare da parte degli adulti. Avvertivo il senso di colpa e il dovere morale di impegnarmi proprio io, in quanto tedesca, affinché non ci fossero più guerre. Va da sé che io fossi nel movimento pacifista degli anni `70 e `80: volevo fare diversamente dai miei genitori. Ciascuno di noi fa le proprie personali esperienze; non possiamo prevenire l'incontro dei nostri figli con la violenza, la guerra, il mondo militare. Niente viene rifiutato come un consiglio indesiderato. Da bambina e da ragazza mi hanno affascinato soprattutto quelle persone che non mi volevano comunicare qualcosa da educatori, ma che vivevano con orgogliosa coscienza di sé anche in contrasto con la società. La mia domanda arrabbiata: "Mamma, papà, perché non avete detto niente contro la guerra?" non puó irrigidirsi in un codice morale per i miei bambini. Vivere con dignità: questo è un compito che ciascuno puó assolvere solo per se stesso. Devo decidere che posizione prendere di fronte alle domande del mio tempo. Penso che i miei figli ne discuteranno con me quando si sentiranno pronti per farlo.
Il giocattolo è immagine della nostra cultura
Non ha senso cercare la causa del comportamento aggressivo nei giocattoli, come ho mostrato sulla base di diversi studi. Per i bambini il giocattolo rappresenta il mondo degli adulti. Noi accettiamo naturalmente che i bambini si preparino a fare spese nei negozi giocando, e troviamo utile ripetere le azioni che insieme a noi hanno visto fare alla cassa. Quasi tutti i campi del sociale esistono in commercio in scala ridotta, affinché i bambini giocando imparino a conoscere il mondo dei grandi. Allo stesso modo mini-carri armati e set completi di armi per giochi d'azione rappresentano una parte del grande mondo. Non a caso He-Man è un eroe biondo dalla pelle bianca, Skeletor invece viene dall'Est e incarna il regno del male. Questa immagine era stata già utilizzata dall'allora presidente Reagan per l'Unione Sovietica. Nella serie "Mask" una squadra di "uomini intrepidi e coraggiosi" difende "il mondo libero"; con il set Strax "devi conquistare terre straniere", "conquistare la giungla, dominare il deserto". Klaus Theweleit descrive la guerra come "fantasia maschile", come il piacere maschile della guerra, uccidere e combattere. Io penso che abbia un "senso" il fatto che anche all'interno della squadra d'azione, impegnata in pericolose avventure, le amicizie maschili sorgano in gruppi gerarchicamente strutturati. I bambini non sanno ancora niente di questi paralleli con la politica e la società, ma trovano, per esprimere i propri sentimenti di inimicizia, oggetti, simboli, segni che nel mondo degli adulti sono associati a contenuti politici e immagini del nemico. La guerra ha così accesso nel "mondo soggettivo" del bambino, nella sua esperienza, nei suoi sentimenti, nei suoi sogni, nelle sue fantasie, ed è disponibile come soluzione, certo peggiore ma ragionevole, dei conflitti. Sebbene, per lo meno in Europa, viviamo in pace da quarant'anni, la guerra ha una sua presenza sensibile che si esprime attraverso i giocattoli, i film di guerra, i giornali, i giochi, i mezzi di informazione, videogiochi e computer, pubblicità delle forze armate, fino al look militare nell'abbigliamento. Questa parte oscura, crudele della nostra cultura viene volentieri repressa e minimizzata, sia che si ponga il divertimento come punto centrale nella giornata di apertura delle caserme, sia che si parli solo di destrezza e di tecnologia moderna a proposito della guida di un aereo da bombardamento. Sono molto diversi i modi in cui i bambini assimilano queste influenze e queste impressioni. Se la loro vita quotidiana è una continua guerriglia, anche da giovani e da adulti saranno piuttosto affascinati da modelli aggressivi. Jürgen Fritz, Christian Büttner e Helmut Hartwig mostrano le relazioni fra consumo, giochi elettronici che esaltino la guerra e la violenza, video e comportamenti violenti di bambini e giovani. Io sostengo che tutti abbiamo fantasie di malvagità e di violenza: sono la reazione a offese e ferite. Per i bambini il gioco è il livello del rapporto simbolico con queste cose; i giovani e gli adulti hanno altre forme. A sedici anni io scrivevo il mio onnipotente odio nei confronti di un insegnante su un diario segreto, inventando storie in cui lo uccidevo. Nessuno ne era a conoscenza, fino a che venti anni dopo la fine della scuola, ci raccontammo queste cose fra compagne di scuola e verificammo che avevamo molte fantasie simili. Anche i sogni esprimono l'ansia, la rabbia, la collera in scenari violenti. La violenza gioca un grosso ruolo nei film e in televisione, non solo per il divertimento e la distensione. Nei gialli, nei film di guerra e di azione, gli spettatori possono provare sentimenti di vendetta e di rivalsa, possono identificarsi con il cattivo. Assistiamo a come il buono in nome della giusta causa spara e uccide, trasgredisce la legge, mette da parte istituzioni e autorità. Non si è limitati dalle leggi, dalle prescrizioni, dalle regole del buon comportamento, ma ci si sente forti e liberi. Le fantasie di violenza sono tabù nella società. Conosciamo il volume d'affari di video d'azione o dell'orrore, dei cosiddetti giornali scandalistici, e di fronte alla partecipazione di milioni di spettatori televisivi al sanguinoso dramma degli ostaggi ci chiediamo: è ammissibile dal punto di vista morale? Il consumo di fantasie di violenza ha luogo soprattutto in ambito privato, rendendo così possibile la pubblica condanna: sono infatti solo gli altri che provano gusto e piacere in queste cose. Dalle discussioni degli adulti i bambini traggono l'impressione che le fantasie di violenza siano riprovevoli, e che allo stesso tempo, peró, siano tollerate in pubblicazioni per adulti. Con ció non intendo esprimermi a favore della violenza nei mass-media. Non si tratta, peró, del frutto di una fantasia "malata", mentre tutti gli altri sono sani, cioè privi di violenza. Solo quando saremo pronti a riconoscere che siamo al tempo stesso buoni e cattivi, amiamo e odiamo, potremo affrontare questo conflitto. Per i bambini il gioco con le armi e altri materiali da guerra significa un'incursione nel potente mondo degli adulti. I giovani si misurano con rituali e simboli della virilità. I collezionisti adulti ritornano "al fanciullo che è nell'uomo". Quando qualcuno cerca un mondo sano nei carri armati e nei soldati, è perché il suo mondo civile non funziona più? Anche gli adulti sognano di essere potenti, di muovere i personaggi della storia del mondo, invece che essere mossi. C'è differenza se uno colleziona vecchie pubblicità o soldatini? I bambini raccolgono tutto per la prima volta; quando noi gli portiamo via ció che hanno raccolto, portiamo via loro un pezzo di esperienza. Essi vanno costruendosi un mondo con cose che per loro hanno un significato, danno alle cose un loro ordine, che non si orienta secondo criteri oggettivi - un cassetto per tutte le cose dello stesso tipo - ma secondo fantasiose correlazioni. Trovo positivo che i genitori siano capaci di creare "spazi gioco" per i loro desideri e le loro nostalgie infantili. Senza dubbio tutti gli adulti che giocano con modellini di guerra devono rinnegare il loro essere adulti per tornare bambini e reprimere la propria consapevolezza degli orrori della guerra. "Mio figlio gode al pensiero che io abbia paura di lui" dice una mamma. "Eppure non sa proprio niente della guerra". D'accordo. Le armi trasmettono un senso di potenza. Ă così fondamentalmente diverso per gli adulti? Senso di impotenza, dipendenza, sottomissione dovrebbero indebolire il senso del potere e della possibilità di dominare l'ambiente. Stando alle rassicurazioni dei militari, carri armati e armi del nostro esercito non entreranno mai in azione in caso di emergenza. Allora stiamo solo giocando, facciamo solo così, "come se". Sia idealmente sia emotivamente si gioca soltanto. Le cause delle guerre vere si trovano in campo soprattutto politico-economico, ma per gli adulti, bambini diventati grandi, i meccanismi del "riarmo psicologico" non sono molto diversi. Le armi servono a trasmettere sicurezza e forza: ci sentiamo minacciati e allora abbiamo bisogno di armi per difenderci. Sentimenti di ansia e di minaccia sono sempre stati al fondamento del consenso al riarmo. I produttori di armamenti fanno pubblicità con lo slogan "sicurezza", gli eserciti dovrebbero proteggere donne e bambini. Le armi rimangono, come sempre, un simbolo della forza maschile.
si textul acesta:
http://www.maschiselvatici.it/pedagogia ... ambini.htm
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